sabato 16 novembre 2013

Ora Letta festeggia ancora?



di Chris Richmond Nzi


Il 15 ottobre 2013 è una data da considerare come una “pietra miliare” della nuova governance dell’Unione europea: per la prima volta gli Stati hanno dovuto presentare alla Commissione le loro proposte di bilancio pluriennale, e, puntuale, il 15 novembre, l'istituzione di Bruxelles ha fornito i suoi pareri sui provvedimenti ricevuti. Non raccomandazioni, ma dei pareri, inviti che seppur non vincolanti, sono vivamente da prendere in considerazione. 

È vero che 12 Stati sono fuori dalla procedura per deficit eccessivo, ma è altrettanto vero che è stato un "bombardamento", dal quale soltanto Germania ed Estonia ne sono usciti indenni. Tutti gli altri sono leggermente o gravemente feriti e c’è anche chi è stato dichiarato in prognosi riservata. Francia, Olanda e Slovenia, avendo ottenuto più tempo per correggere il loro deficit eccessivo, sono stati risparmiati, per il momento. La Spagna, seppur ha ricevuto l’invito di apportare modifiche al bilancio, ha fatto grandi passi in avanti e, con l’Irlanda, ha ottenuto pochi giorni fa l’Ok dall’Eurogruppo per uscire dal programma d’assistenza finanziaria, cui è tutt'ora sottoposta. Entrambe hanno comunque poco da festeggiare perché la Commissione avverte che i due paesi dovranno sicuramente affrontare altre ed ulteriori sfide.

E l’Italia in tutto ciò? L’Italia è stato il paese più bacchettato dalla Commissione. È sicuramente uscito dalla procedura per deficit eccessivo, ma rischia di non avere nel 2014 i requisiti richiesti dal Patto di stabilità. Con la mole del suo debito pubblico, non potrà in nessun caso permettersi leggerezze o deviazioni di alcun genere. Quando Letta festeggiava l’uscita dalla procedura di deficit sapeva che non sarebbe stato sufficiente e sapeva anche che la riduzione del debito di 1/20 l’anno non è a discrezione, ma un dovere. Per la Commissione, l’adeguamento strutturale del debito pubblico proposto non è sufficiente a soddisfare le aspettative, pertanto, l’Italia è stata ampiamente bocciata, ed era ovvio.  Così ovvio che il governo Letta, per anticipare la figuraccia, è andato in Commissione a dire che avrebbe portato avanti il processo di riforme economiche, anche per mezzo della revisione della spesa. Anche con la revisione della spesa, non soltanto con quella. La Commissione ha preso in considerazione l’impegno assunto e ha lodato il prezioso compito che il neo commissario Cottarelli dovrà portare a termine nel Belpaese: tagliare la spesa mediante una riforma della pubblica amministrazione, sia a livello centrale che locale.

Sia il Premier Letta che il ministro Saccomanni hanno detto che la proposta di bilancio è buona e che funzionerà, che nulla è da cambiare. Non è proprio quanto espresso dalla Commissione, ma essendo appunto solo un parere, non è vincolante. E' anche vero che secondo le attuali regole, se i pareri della Commissione venissero ignorati ed un bilancio non conforme venisse approvato dal Governo, saranno applicate per quello Stato norme di bilancio “rafforzate e con efficaci meccanismi per la loro applicazione”. 

Staremo a vedere cosa succederà venerdì prossimo, quando ci sarà una riunione straordinaria dell’Eurogruppo. Se qualcuno ha qualcosa da ribattere o attributi da mostrare, quello sarà il momento per farlo.  In ogni caso, l’Italia è in buona compagnia. Malta è sotto procedura per deficit eccessivo da giugno, la Finlandia è certo che violerà il criterio sul debito nel 2014 ed il Belgio ha ricevuto raccomandazioni per evitare di entrare in procedura per infrazione. La Polonia, inoltre, non ha seguito le direttive avute a giugno e la Commissione intende pertanto proporre al Consiglio una nuova raccomandazione per la correzione del suo deficit; l'appena entrata Croazia, infine, è già nei guai: lo scorso anno ha avuto un deficit superiore al 3 % e nel 2014 il suo debito pubblico è destinato a superare quota 60 % del PIL.

Nonostante tutto, le previsioni della Commissione per il prossimo anno parlano di un recupero strutturale con una modesta accelerazione ed un debito nella zona euro pari al 96% del PIL. Rosee previsioni, aspettando a braccia aperte l’entrata nell’Eurozona della Lettonia. Non cambiate canale, ci sarà da divertirsi.

martedì 12 novembre 2013

TroikaLand - Parte 3 - La tirannia di alcuni, la prigionia di troppi



di Chris Richmond Nzi


Mentre in Italia si tenta di trovare un’intesa su come attuare una raccomandazione ricevuta quasi 17 anni fa, in Europa si pensa già al domani. Si preparano le elezioni del Parlamento europeo, quell'istituzione che seppur declassata a ‘monnezza’, è l’unica dell'Ue che i cittadini possono votare.  

Non godendo di ottima salute, l’Europa cerca di convincere le popolazioni che l’Unione è la strada maestra, l’unica percorribile. Secondo Michel Barnier, membro della Commissione e responsabile per il mercato interno e servizi, a causa «dell’assenza di controllo del debito pubblico, dell’incorretta regolamentazione del settore finanziario e della mancata governance economica», più del 50% degli europei pensano che l’Unione europea non sia riuscita a proteggerli dagli effetti negativi della globalizzazione. Come se i cittadini europei fossero vissuti in un territorio senza regole, in una comunità gestita dall'anarchia pura. Il controllo del debito è presente da quasi 17 anni, la regolamentazione del sistema finanziario c’è da quando esiste il Fondo Monetario, ovvero da quasi 70 anni. Non è la mancanza di regole che ha appassito l’Europa, ma lo scopo ultimo di certe di esse. Nonostante ne siano più che consapevoli, l’intenzione in Europa è ripristinare la fiducia persa continuando a ripetere che «il peggio della crisi è alle spalle e che le nuove strutture istituite sono adeguate allo scopo». Ed è appunto lo scopo che più preoccupa e pertanto, quello che deve ancora arrivare.

Secondo Barnier, per ottenere la fiducia del popolo è necessario «affrontare i problemi del sistema finanziario» e su questo ci sono pochi dubbi. «La gente ha bisogno di sapere che il sistema è regolato. Bisogna assicurarsi che tutti gli attori, compresi gli hedge found, i mercati finanziari e i derivati, siano regolati in modo rigido e trasparente. I cittadini vogliono che le banche siano abbastanza forti da resistere agli urti e vogliono sapere che il sistema finanziario non sarà più causa della caduta dell’economia». Forse Barnier non è un cittadino europeo, non ha capito che bisogna separare l’economia dalla speculazione e che questa non deve compromettere il funzionamento dell’economia. 

«La crisi ha dimostrato che l’Europa ha urgentemente bisogno dell’unione bancaria perché l’unione economica-monetaria non è sostenibile se i mercati bancari rimangono frammentati, come lo sono oggi. Per questo motivo si è creato il primo fondamentale pilastro dell’unione bancaria, ovvero il meccanismo unico di vigilanza. La BCE ha iniziato la sua valutazione globale sullo stato di salute delle banche europee e tra un anno, il sistema bancario della zona euro avrà completato il suo processo di ristrutturazione iniziato cinque anni fa». Ci sono voluti decenni di esitazioni e diverse crisi per giungere ad una conclusione così insensata. Dopo aver prestato oltre 1'000 miliardi di euro a 130 banche europee con il LTRO, con l’OMT e con l’EFSF, ora si presta alle banche con il MES. Bisogna solamente pregare che la BCE, mediante gli stress test, non venga a scoprire che qualche banca non ha rispettato l’indice di solidità patrimoniale -Core Tier 1- imposto. Tanti anni persi è vero, ma Barnier è uno retto, uno che riconosce «che l’Europa è stata lenta, ma lo è stata perché i tempi della democrazia sono necessariamente più lunghi dei tempi dei mercati. Per questo motivo è essenziale che entro la fine di questa legislatura vengono completati i negoziati per istituire un’unica Autorità per le risoluzioni ed il fondo unico di risoluzione della zona euro. Rendere queste strutture operative è assolutamente indispensabile per evitare di utilizzare i soldi dei contribuenti per sostenere il fallimento delle banche». Così dicendo, lascia purtroppo intendere che finché queste strutture non saranno operative, i soldi dei contribuenti serviranno a risanare i fallimenti delle banche, oltre che a garantire la paghetta al Fondo, alla Bce, all’ ESM & Company. Per ripristinare la fiducia, secondo Barnier,  «bisogna far si che le banche tornino al loro legittimo ruolo, finanziare il resto dell’economia», ammettendo che di fatto ora, è l’economia che forgia le banche.

"La crisi del debito sovrano ha dimostrato che non è possibile avere un’unica moneta e diciotto diverse politiche economiche, talvolta tra loro competizione. Quest’anno, per la prima volta, è stato avviato il nuovo sistema per il coordinamento delle politiche di bilancio. Tutti gli Stati membri della zona euro hanno dovuto presentare alla Commissione i loro progetti di bilancio per l’anno 2014, che verranno valutati dalla Commissione per controllare che le misure proposte dagli Stati siano in linea con le regole di bilancio europee e con le pertinenti raccomandazioni ricevute dal Consiglio». 

Se la Commissione non dovesse gradire la proposta di bilancio del governo, serviranno a poco gli attributi di Mr. Letta. Quelli non scherzano. Le usano come anti-stress le palline d’acciaio. «Bisogna essere chiari», prosegue Barnier, «non è stato Bruxelles a creare un debito pubblico del 93% nell’eurozona, ma è Bruxelles che sta cercando di –incoraggiare- gli Stati ad un comportamento responsabile». Un alquanto singolare metodo per incoraggiare il prossimo e seppur potrebbe sembrare quasi invadente come incoraggiamento, «la Commissione non sta dettando la politica economica nazionale e lo scopo di tutte queste misure non è forzare i paesi a sacrificare la loro sovranità economica. Si tratta di aumentare la trasparenza». Trasparenza. Aumentare la trasparenza non significa affatto invertire la rotta per  imboccare un sensato sentiero. Trasparenza è evitare di servirsi dei risparmi pubblici come fosse una carta di credito privata, è ammettere che il volume d’affari dell’economia non può più competere con quello della finanza. Trasparenza è ottenere un consenso da parte degli elettori e rimanere entro il solco dello scopo sociale ottenuto, ‘senza se e senza ma’. Trasparenza è ammettere che nessun altro continente è stato così tanto corroso dalla crisi, perché nessun altro continente è stato così presuntuoso da intraprendere una scalata così tortuosa durante la tempesta perfetta. «Ognuno deve fare la sua parte per adempiere gli obblighi, in modo da ripristinare la fiducia generale, perché questa crisi ha dimostrato che i problemi di alcuni diventano molto rapidamente i problemi di tutti», conclude Michel Barnier.

Ma io direi invece che la crisi ha dimostrato che la tirannia di alcuni è diventata molto rapidamente la prigionia di tanti, troppi. Ed ognuno deve fare la sua parte. I contribuenti devono contribuire e gli eletti devono legiferare. Ma se il Parlamento, eletto, è stato declassato ed a legiferare è la Commissione, che non è eletta, da che parte sta «la trasparenza»? È possibile che esistano responsabilità riguardo la gestione della crisi stessa, responsabilità politiche, per lo meno. Ma chi dovrebbe assumersi questo emblematico fallimento legislativo? Chi “promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta e iniziative appropriate a tal fine”, pur offrendo “tutte le garanzia di indipendenza”, oppure chi è declassato a ‘monnezza’, seppur “eletto a suffragio universale diretto e libero”? Chi vedesse un orizzonte sfocato, si rassereni. L’intenzione dichiarata è di «aumentare la trasparenza».

venerdì 1 novembre 2013

Letta fiore all'occhiello della campagna elettorale di Bruxelles: la vittoria più grande dei partiti euro-scettici



In un'intervista molto deludente per contenuti concessa al El pais, Gazeta Wyborcza, Le Monde, Suddeutsche Zeitung, The Guardian e la Stampa, il presidente del Consiglio italiano Enrico Letta ha invitato i filo-europeisti ad abbandonare la "timidezza", altrimenti quelli che definisce i "populismi" potrebbero "azzoppare" il Parlamento europeo nelle prossime elezioni. 

La scommessa di fondo secondo Letta è quella di passare dalla austerità alla crescita. Dopo tre e anni mezzi di tagli suicidi che hanno creato un folle circolo vizioso che ha gettato il continente nella depressione, deflazione e disoccupazione di massa, ora "la scommessa" può essere rovinata secondo Letta da non precisati "populisti" o partiti euroscettici - categoria all'interno della quale il premier inserisce dunque realtà agli antipodi come ad esempio Syriza in Grecia e l'estrema destra austriaca del Partito della Libertà (Fpoe) di Heinz-Christian Strache - che rischiano di entrare in modo massiccio nel Parlamento europeo.

Dopo aver ricordato di "essere un grande tifoso di Van Rompuy e di Barroso, due personalità che stanno facendo bene, che hanno dimostrato una grande conoscenza delle istituzioni europee", Letta conclude che urge una grande battaglia europeista: l’Europa dei popoli contro l’Europa dei populismi. Quella stessa Europa dei popoli che ha voluto, per l'ennesima volta, l'ingresso nella zona euro di un nuovo membro, la Lettonia, senza considerare che la popolazione, in maniera molto chiara, si fosse schierata contro quest'ipotesi.

Non può esserci, infine, vittoria più grande per i partiti scettici dell'attuale architettura istituzionale dell'Ue se Enrico Letta è stato davvero scelto da Bruxelles come il paladino delle sue politiche - portate avanti dai partiti liberal conservatori e socialisti in esperimenti ormai consolidati di fusione nel continente - ed il fiore all'occhiello della campagna per le elezioni del prossimo maggio.

sabato 26 ottobre 2013

TroikaLand - Parte 2 - "Looking Ahead", ma in quale direzione?

Dopo "Quello che bisogna sapere della troika", che vi ha presentato da un punto di vista storico-giuridico le tre istituzioni internazionali che si stanno sostituendo ad i governi nazionali, l'Antitroika presenta un nuovo percorso formativo "TroiKaLand", volto ad indicare passo passo come il dominio finanziario condizioni ogni aspetto della vecchia vita democratica dei paesi membri della zona euro.





di Chris Richmond Nzi

Nonostante il depistaggio mediatico ed il martellamento unilaterale, il momento del pedaggio è giunto e dobbiamo pensare come chiudere il bilancio in corso ed in che modo programmarne i prossimi tre. Non esistono più scorciatoie ai paletti imposti ed ora che la ragione dello Stato si avvia verso una nuova e folcloristica definizione, gli umori e le teorie tendono a divergere.

In questo momento di difficoltà c’è chi chiede di mantenere e possibilmente, avvalersi ancora di più della solidarietà e dell’unità, ma c’è anche chi come l’ex Premier Mario Monti, è sempre più convinto che il sistema stia vacillando e sia pertanto necessario un “reset” ed una nuova e più coerente ri-pianificazione del Matrix. Scritto nero su bianco nel libro “On democracy in Europe, looking Ahead” e ribadito lo scorso mese davanti alla platea del Forum Europeo per le Nuove Idee a Sopot, secondo il Prof. è necessaria una riforma della democrazia in Europa, perché la democrazia stessa «diventa sfocata quando la Commissione massimizza la sua posizione, mentre il lavoro del parlamento persiste su una debole base legale». Non potendo che convergere almeno su questo aspetto del profondo pensiero filosofico ed aspettando la prossima evoluzione della Monti-revolution, non ci resta che proseguire il nostro cammino e vagabondare senza meta nella perdita progressiva di diritti, sempre più oppressi dai nostri doveri.

Nonostante la sospensione dell’IMU sulla prima casa comporti una riforma generale dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare ed il dovuto rimborso dei debiti commerciali alle pubbliche amministrazioni, il governo prevede per il 2013 di planare con un deficit strutturale pari a 2,9% del PIL, all’1,8% nel 2014  e grazie a «misure non specificate» ma devono essere davvero miracolose allo 0,4% del PIL nell’anno 2017. “Terra in vista”! esclama capitan Letta, ma era soltanto un miraggio per Colei che rende l’orizzonte sfocato. Secondo la Commissione, infatti, il deficit per il 2013 dovrebbe sì scendere al 2,9% e rimanere entro il limite imposto dal patto di stabilità, ma per quanto riguarda il 2014, si prevede un deficit pari al 2,5% del PIL, ossia 0,7pt% in più delle previsioni del governo. E per giunta, per queste previsioni la Commissione ha tenuto conto della piena attuazione delle misure di risanamento adottate nel 2011-2012, l’aumento di 1pt% dell’IVA e l’entrata in vigore di nuove imposte o maggiorazioni di imposte sulle transazioni finanziarie e sui servizi pubblici locali.

Non una diminuzione come asserito dal governo, ma «nuove o maggiorate imposte sui servizi pubblici locali», come la Commissione aveva già predetto a marzo 2013. Sembrerebbe che in qualche maniera e dopo tanta denigrazione, i tizi con la bandana verde al collo abbiano finalmente ottenuto la concreta possibilità di veder nascere il “federalismo fiscale” incessantemente lodato. Chi sarà il Nostradamus del nuovo millennio, il governo o la Commissione? Per evitare di trovarsi impreparati, basta affidarsi alla storia recente.

mercoledì 23 ottobre 2013

Inizia la fase 2 dell'esperimento in Grecia



"Il secondo prestito alla Grecia si concluderà il prossimo anno: i calcoli più accurati stimano che la recessione produrrà un buco da 5 miliardi di euro nel 2014. Nuovo prestito e nuova austerità, quindi. Ma, il paese già oggi sta toccando il fondo con salari, pensioni e condizioni del mercato del lavoro simili a quelli della Cina. La Grecia è il 'topo da laboratorio della troika': se il piano non incontra tanta resistenza ed ha successo nel decimare la condizione di vita delle persone, sarà esportato in tutta Europa. Il suo obiettivo ultimo è quello di infliggere una 'morte intenzionale' al paese". Queste le parole di Costas Douzinas, Director of the Birkbeck Institute for the Humanities all'università di Londra e Columnist per il Guardian, in un'intervista che ci ha rilasciato recentemente.Parole che vanno rilette con molta attenzione alla luce di quanto scrive oggi il quotidiano greco Kathimerini.

Secondo quest'ultimo, che cita fonti di Bruxelles, la troika tornerà ad Atene ad inizio novembre e, molto compassionevolmente c'è da aggiungere, accoglierà le "suppliche" di Samaras e non imporrà più tagli "orizzontali" a salari e pensioni, ma chiederà la chiusura di due aziende statali: l'EAS, l'azienda che cura i sistemi di difesa e l'ELVO, l'industria automobilistica.

Si tratta di un chiaro passaggio ad una fase 2 di quell'esperimento che indicava Douzinas. Senza più nulla da tagliare – "salari, pensioni e condizioni del mercato del lavoro sono già simili a quelli della Cina" – la troika inizia ad imporre la dismissione delle aziende statali. E l'indiscrezione di Kathimerini, se confermata nei fatti, è ancora più grave dato che le aziende operano in un settore, quello della difesa, chiave per il paese.

Nel suo "Philosophy and resistance in the crisis" Douzinas scrive che le persone in ogni università, posto di lavoro e scuola dovrebbero far capire alle autorità di non essere più disposti ad accettare queste scelte politiche suicide. Del resto, l'alternativa è quella di accettare la "cura" inflitta al topo greco.

martedì 15 ottobre 2013

TroikaLand. Parte I. La visione "distorta" della crisi in Europa


Dopo "Quello che bisogna sapere della troika", che vi ha presentato da un punto di vista storico-giuridico le tre istituzioni internazionali che si stanno sostituendo ad i governi nazionali, l'Antitroika presenta un nuovo percorso formativo "TroiKaLand", volto ad indicare passo passo come il dominio finanziario condizioni ogni aspetto della vecchia vita democratica dei paesi membri della zona euro.

di Chris Richmond Nzi

Lo scorso anno, il Presidente della Corte dei Conti disse che «questa spirale negativa (…) appare proprio la conseguenza di una visione distorta ed incompleta delle ragioni della crisi che l’Europa sta attraversando». I mass media lo snobbarono, troppi pochi diedero il reale valore alla gravità di quelle parole. Se fosse vero che i burattini del sistema economico-finanziario possano avere “una visione distorta ed incompleta delle ragioni della crisi”, noi, che di questo spettacolo siamo soltanto spettatori, che cosa potremmo aver mai capito? 

Siamo da poco venuti a conoscenza dell’esistenza del Fondo Monetario Internazionale, benché sia operativo da quasi 70 anni, ed abbiamo addirittura imparato che lo spread varia a dipendenza della stabilità del governo. Ma si sa, l’informazione è un’arma a modalità soggettiva. Due anni fa tutti i politici giuravano che le loro scelte politiche non erano in alcun modo condizionate dalle istituzioni europee, mentre oggi, abbiamo prove documentate che il bilancio pluriennale di uno Stato può essere redatto dalle istituzioni comunitarie ed internazionali; abbiamo appreso dell’esistenza di un Patto di stabilità, accontentandoci di sapere soltanto che ne siamo vincolati e che comporta degli obblighi predefiniti. Sentiamo vociferare di clausole e criteri, di 3 e 60%, di una riduzione del debito pubblico e di un probabile meccanismo di stabilità.

Gli architetti dell’Unione erano convinti che per mantenere l’acquis comunitario e completare il processo d’integrazione europeo, sarebbe stato necessario controllare sia le forze armate che le politiche fiscali nazionali, pertanto, nel 1997 i burattini sottoscrissero e ratificarono il Patto di stabilità e crescita, poche norme che avrebbero dovuto coordinare la disciplina fiscale dell’imminente Unione Economica Monetaria e limitare un’eventuale crisi del debito sovrano. Nonostante il Patto raccomandava bilanci nazionali con un rapporto deficit/PIL inferiore al 3% ed imponeva un rapporto debito pubblico/PIL inferiore al 60%, a causa di pregressi decenni di leggerezze programmatiche e fuorvianti politiche, i criteri sono stati spesso e volentieri ampiamente disattesi. 

Nove anni dopo l’introduzione dell’euro ed undici anni dopo l’adozione del Patto di stabilità, la “crisi del debito sovrano” non è stata minimamente evitata, anzi. Mentre alcune devono ancora manifestarsi, nel 2008 gran parte delle lacune strutturali degli Stati sono emerse chiaramente, evidenziando l’obiettiva incapacità gestionale dei vari burattini e mentre i loro ripetuti tentativi di tamponare l’aggravata situazione si sono rivelati fallimentari, l’idea promossa degli architetti dell’Ue di ridefinire e «rafforzare l’architettura dell’unione economica e monetaria» è stata ampiamente conseguita.

Ad inizio novembre 2011, mentre l’allora Premier Berlusconi asseriva … «mi sembra che in Italia non ci sia una forte crisi (…), i consumi non sono diminuiti, per gli aerei si riesce a fatica a prenotare un posto, i ristoranti sono pieni», … lo spread italiano oltrepassava quota 570 punti (era 24 punti il 13 novembre 2006). Spread così alto?, secondo gli insegnamenti dei nostri professori di sostegno è sinonimo di un’obiettiva instabilità, pertanto, per ri-“dare a Cesare ciò che è di Cesare”, l’Italia, con altri 25 compagni d’avventura ha espresso il desiderio di «favorire le condizioni per sviluppare un coordinamento sempre più stretto delle politiche economiche» e finanziarie. 

I mass media hanno colto l’occasione per sfoggiare folcloristici vocaboli tipo “unico supervisore bancario”, “DEF”, “manovre aggiuntive”, e mentre la maggior parte dei burattini recitava una parte di mutismo sincronizzato, il Re Magio Monti ha ritenuto opportuno confidare al suo popolo che una riforma del Belpaese era necessaria perché “lo chiede l’Europa”. L’Europa non aveva nulla da richiedere, hanno volontariamente affidato all’Europa la competenza di sorvegliare i bilanci, di monitorare e di valutare i documenti programmatici di bilancio; hanno espressamente chiesto alla Commissione di programmare «un intervallo per gli obiettivi di medio termine» e di «presentare ulteriori proposte legislative» in merito. I burattini hanno richiesto, l’Europa ha acconsentito e nel momento in cui il Patto di stabilità è stato ratificato, ben 14 Stati su 17 si sono presentati all'appuntamento senza aver lontanamente conseguito né il criterio relativo al deficit, né quello relativo al debito.

La troika: un'Alleanza Sacrilega tra irrazionalità e malvagità. Yanis Varoufakis

In un'intervista rilasciata all'AntiDiplomatico, l'economista greco Yanis Varoufakis - autore di Global Minotaur e di "Modest Proposal" -  sostiene come i paesi dell'Europa del sud non sarebbero dovuti entrare nell'euro, ma uscire in modo non coordinato ora non è un'opzione, attacca in modo veemente la troika - "mi ricorda la Banalità del Male di Hannah Arendt" - ed indica un "faro" per la Grecia e per l'Europa...





- Professore, insieme a Galbraith e Holland, ha aggiornato nel luglio scorso la sua "Modest Proposal", in cui indicava quattro programmi di politica economica di assoluto buon senso che potrebbero aiutare l'Europa ad uscire dal collasso attuale. Programmi, però, che i paesi del Nord, Berlino in particolare, hanno dimostrato di non voler attuare in nessun modo. Allo stato attuale delle cose, non ritiene che la migliore soluzione per i paesi dell'Europa meridionale sia l'uscita dalla moneta unica?

Se potessimo tornare indietro nel tempo, la migliore scelta per i paesi dell'Europa del sud -  e dell’Irlanda - sarebbe stata quella di rimanere fuori dalla Zona Euro. Dal 2000 in poi, il comportamento delle potenze del nord e del sud del continente ha sciolto ogni dubbio su una possibile evoluzione in una entità federale della zona euro, anche dopo una crisi esistenziale che ha minacciato la sua integrità. Detto brutalmente, le nostre élite hanno commesso un peccato capitale mettendo i paesi periferici in una versione "europea" del Gold Standard, che ha (1) causato massicci afflussi di capitale nelle regioni deficitarie, producendo gigantesche bolle e ha (2) causato una depressione permanente negli stessi paesi in deficit una volta che sono scoppiate le bolle, dando così seguito al 1929 della nostra generazione (il 2008).

Uscire della nostra orribile unione monetaria non ci riporterà, anche nel lungo periodo, al punto in cui saremmo stati se ne fossimo rimasti fuori come prima scelta. Una volta dentro, una via di fuga potrebbe semplicemente spingere le nostre balbettanti economie sociali su un terribile precipizio. Soprattutto se il tutto avvenisse in modo non coordinato da un paese ad un altro. Il motivo è molto semplice: a differenza dell’ Argentina nel 2002 e la Gran Bretagna nel 1931, uscire dalla zona euro non è solo una questione di disancoraggio tra la nostra moneta ed una straniera, perché non esiste una moneta da disancorare. In altre parole, dovremmo creare una moneta  - un compito che richiede almeno 8-10 mesi - per poi disancorare o svalutare. 8/10 mesi di ritardo tra l’annuncio di una svalutazione ed il suo effettivo compimento sono sufficienti per far tornare le nostre economie all'età della pietra.

Naturalmente tutto questo non significa che i paesi periferici europei debbano subire in silenzio i danni prodotti da un'insostenibile e misantropa Eurozona. I nostri governi possono esercitare i loro poteri di veto al prossimo vertice dell'Unione europea o riunione dell'Euro-gruppo e chiedere che politiche come quelle che abbiamo proposto nella nostra Modest Proposal vengano discusse seriamente, in modo che sia data la possibilità di riconfigurare il sistema in modo sostenibile.


- Il Wall Street Journal di questa settimana ha pubblicato gli inediti resoconti delle dichiarazioni dei membri del board durante la riunione del 10 maggio 2010, che ha poi aperto al piano di salvataggio della Grecia. In diversi avevano predetto la sua insostenibilità, il fatto che avrebbe solo permesso a banche e creditori privati di riappropriarsi dei loro investimenti e peggiorato la situazione socio-economica del paese, senza migliorare, del resto, l'andamento debito/Pil. Tutto quello che poi è successo nella realtà. Anche alla luce di queste rilevazioni come giudica il comportamento della troika nel suo paese ad oltre tre anni di distanza?

La troika passerà alla storia come un'Alleanza Sacrilega tra irrazionalità e malvagità. I rappresentanti delle organizzazioni che sapevano perfettamente che le politiche che stavano imponendo sarebbero fallite grazie ai criteri scelti, hanno svolto i loro 'ordini' senza rimorso, ragione ed in un modo che ricorda la Banalità del Male di Hannah Arendt. Il loro secondo fine, nascosto dietro una retorica del 'salvare' i nostri paesi, non era altro che spostare le perdite dai libri contabili della Deutsche Bank e company sulle spalle dei contribuenti europei più deboli (compresi quelli in Germania che stanno sperimentando un dura restrizione del valore reale del loro salario).


- Come in diversi altri paesi europei, anche in Grecia assistiamo all'unione dei partiti conservatori e socialisti per difendere un modello economico che ha portato il tessuto sociale al collasso. Come giudica l'azione del Pasok di Venizelos e quanta responsabilità le attribuisce rispetto all'attuale crisi?

I partiti social-democratici hanno preso una scelta decisiva a metà degli anni '90: sono entrati in società con il capitale finanziario. Al tempo, aveva un senso. Non era mai stato facile per i social democratici convincere gli industriali, i commercianti, il mondo degli affari in generale, a finanziare il Welfare state al quale erano, invece, impegnati. E' stato più facile invece chiudere gli occhi agli opachi raggiri dei banchieri degli anni '90 e 2000 (senza del resto mai comprenderli del tutto) ed, in cambio, ottenere una piccola percentuale delle montagne di rendite che i banchieri producevano per finanziare i programmi sociali - alcuni molto degni, del resto.