E un dato di fatto che oggi esistano già due monete diverse all'interno dell'Unione monetaria. Le restrizioni imposte a marzo hanno reso l'euro a Cipro una moneta di seconda classe rispetto a quello che circola in Francia e Germania. “Noi siamo fuori dalla zona euro”, ha dichiarato senza mezzi termini il presidente Nicos Anastasiades. Sulla stessa linea d'onda il ministro delle finanze cipriota Harris Georgiades, in una recente intervista con il Wall Street Journal, che ha sostenuto come i controlli “stanno prolungando una situazione che mina le possibilità di ripresa e, se mantenuti ancora a lungo, porteranno l'economia di Cipro in una situazione non sostenibile”. Anche molti esperti finanziari hanno confermato l'“uscita silente dall'euro”, nell'espressione utilizzata dal direttore di Bruegel Guntram B. Wolff.
Dal caso Cipro possiamo trarre due conclusioni. Primo. L'accertata volontà di Bruxelles, Francoforte e Berlino di non impegnarsi a fondo per una soluzione condivisa della crisi dell'euro-zona. A tre anni dall'inizio del salvataggio della Grecia è una certezza indissolubile, che, del resto, sta distruggendo il benessere e la democrazia dell'Europa del sud.
Secondo. L'esperienza di Cipro rompe uno dei taboo principali dell'impostazione neo-liberista dominante dagli anni'80 e potrebbe essere il primo segnale per minare un'idea corresponsabile della colossale crisi mondiale: la desiderabilità del flusso di capitali senza controllo. Come ha scritto recentemente Krugman, la vicenda di Cipro insegna che “il capitalismo mondiale diventerà probabilmente meno globale. E si tratta di una buona notizia rispetto all'afflusso di capitali senza regole”.
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