giovedì 30 maggio 2013

I sofisti moderni: da chi e come siamo governati

di Chris Richmond-Nzi



“ … vidi dunque che mai sarebbero cessate le sciagure delle generazioni umane, se prima al potere politico non fossero pervenuti uomini veramente e schiettamente filosofi, o i capi dei politici delle città non fossero divenuti, per qualche sorta divina, veri filosofi … 






Insegnavano l’arte della parola, dei discorsi e l’arte della retorica, perché il saper parlare, convincere, entusiasmare ed il saper commuovere, erano virtù essenziali per dominare le assemblee popolari, orientare le votazioni popolari ed ottenere incarichi pubblici. La retorica coincideva con la scienza politica, ed a quel tempo, retorica e potere erano un tutt'uno.  Erano tecnici della confutazione ed insegnavano con quali artifici si potesse dimostrare la veridicità di qualsiasi tesi, anche la più paradossale; insegnavano a sostenere con apparenti buoni argomenti, sia la tesi che l’antitesi di una questione. Cavillatori e disonesti, badavano a raggiungere una fama a buon mercato e nel profittare  della dabbenaggine dei loro clienti ed uditori, si facevano ricchi, senza scrupolo.

Questi, nel V secolo a.C, venivano chiamati sofisti, i sapienti. Erano filosofi con un interesse prevalente verso l’arte sociale piuttosto che verso l’etica, che sovente scadevano, avendo l’assurda pretesa di essere in tutto sapienti, poiché su tutto  sapevano parlare, improvvisando discorsi. Secondo Antifonte, le leggi sono convenzioni astratte, norme artificiose che si contrappongono alla natura, che tiranneggiano l’uomo ingiustamente, mentre l’opposizione alle leggi rivelava un fondo democratico, siccome per natura gli uomini sono tutti uguali. Non vi sono né padroni né schiavi, né nobili né plebei, né Greci né barbari. Protagora a sua volta, maestro della retorica, riteneva invece che alcuni discorsi rivestono un’utilità sociale maggiore di altri e che sia perciò opportuno sostenerli con la retorica e farli prevalere. 

Platone invece, confondendosi con i sofisti si presentava come colui che sapeva di non sapere, perché il sapere di non sapere diviene la premessa per la ricerca del sapere, l’amore verso il sapere. Platone contrapponeva all'educazione tecnica, specialistica e puramente formale, l’esigenza di una formazione globale e profonda della personalità umana: la retta filosofia. Secondo Platone, la filosofia non si limita a sapere un particolare, ma accompagna ogni sapere con il retto uso del sapere stesso, il sapersi servire di ciò che si fa. Il filosofo, secondo Platone, è il vero politico proprio perché non è un mero specialista della politica, un tecnico dei discorsi, preoccupato unicamente di prevalere nelle assemblee, ignorando poi cosa sia la verità, cosa sia il vero bene suo e di tutti gli uomini. Secondo Platone, i governanti devono farsi filosofi, poiché solo chi conosce il vero essere delle cose è in grado di comandare ed ispirare azioni giuste e sagge, essendo il male derivante da ignoranza. Per questi motivi, secondo Platone, l’uomo deve venire educato da una società che considera il sapere e l’equità come la sua più alta destinazione, ed a tale scopo, sottomettere ogni sua struttura ed ordinamento.

Oggi, nel terzo millennio, si hanno persone che continuano ad usare la retorica per dominare le assemblee popolari, orientare le votazioni ed ottenere incarichi pubblici; che usano la retorica per dimostrare la veridicità di qualsiasi tesi, anche la più paradossale. Cavillatori e disonesti, mirano a raggiungere una fama a buon mercato ed approfittano dell'ignara complicità dei loro clienti ed uditori. Sovente scadono, avendo l’assurda pretesa di essere in tutto sapienti, poiché sanno parlare su tutto, improvvisando discorsi. Hanno un’educazione tecnica, specialistica, puramente formale e mancando di una profonda formazione della personalità umana, non usano la filosofia come modello di azione sociale e di riforma dei valori.

I sofisti nel terzo millennio si chiamano governanti tecnici. Tecnici che hanno smarrito la retta filosofia, che cercano di contaminare anche le generazioni future, eliminando la filosofia nelle scuole dell'obbligo come contrapposizione all'educazione tecnica, specialistica, puramente formale. Mentre con l’uso della retorica professavano –il bene–, dicevano di essere decisi a creare un’unione «in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini», si contraddicevano immediatamente, asserendo che il tutto sarebbe stato fatto «conformemente al principio della sussidiarietà», ovviamente. Nel terzo millennio e soprattutto nel terzo millennio, l’uso della retorica ed il potere sono un tutt’uno. Cavillatori e disonesti, i nuovi sofisti sbagliano nel giudicare ciò che sia la felicità, essendo fermamente convinti che siano felici soltanto coloro che possono dominare sugli altri uomini, usandoli come schiavi o come mezzi, in vista dei loro interessi e desideri. Con l’uso di leggi e convenzioni astratte, hanno creato norme artificiose che si contrappongono alla natura e tiranneggiano l’uomo ingiustamente, perché secondo la loro natura, gli uomini non sono tutti uguali: vi sono padroni e schiavi, nobili e plebei, Greci e barbari.





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