sabato 26 ottobre 2013

TroikaLand - Parte 2 - "Looking Ahead", ma in quale direzione?

Dopo "Quello che bisogna sapere della troika", che vi ha presentato da un punto di vista storico-giuridico le tre istituzioni internazionali che si stanno sostituendo ad i governi nazionali, l'Antitroika presenta un nuovo percorso formativo "TroiKaLand", volto ad indicare passo passo come il dominio finanziario condizioni ogni aspetto della vecchia vita democratica dei paesi membri della zona euro.





di Chris Richmond Nzi

Nonostante il depistaggio mediatico ed il martellamento unilaterale, il momento del pedaggio è giunto e dobbiamo pensare come chiudere il bilancio in corso ed in che modo programmarne i prossimi tre. Non esistono più scorciatoie ai paletti imposti ed ora che la ragione dello Stato si avvia verso una nuova e folcloristica definizione, gli umori e le teorie tendono a divergere.

In questo momento di difficoltà c’è chi chiede di mantenere e possibilmente, avvalersi ancora di più della solidarietà e dell’unità, ma c’è anche chi come l’ex Premier Mario Monti, è sempre più convinto che il sistema stia vacillando e sia pertanto necessario un “reset” ed una nuova e più coerente ri-pianificazione del Matrix. Scritto nero su bianco nel libro “On democracy in Europe, looking Ahead” e ribadito lo scorso mese davanti alla platea del Forum Europeo per le Nuove Idee a Sopot, secondo il Prof. è necessaria una riforma della democrazia in Europa, perché la democrazia stessa «diventa sfocata quando la Commissione massimizza la sua posizione, mentre il lavoro del parlamento persiste su una debole base legale». Non potendo che convergere almeno su questo aspetto del profondo pensiero filosofico ed aspettando la prossima evoluzione della Monti-revolution, non ci resta che proseguire il nostro cammino e vagabondare senza meta nella perdita progressiva di diritti, sempre più oppressi dai nostri doveri.

Nonostante la sospensione dell’IMU sulla prima casa comporti una riforma generale dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare ed il dovuto rimborso dei debiti commerciali alle pubbliche amministrazioni, il governo prevede per il 2013 di planare con un deficit strutturale pari a 2,9% del PIL, all’1,8% nel 2014  e grazie a «misure non specificate» ma devono essere davvero miracolose allo 0,4% del PIL nell’anno 2017. “Terra in vista”! esclama capitan Letta, ma era soltanto un miraggio per Colei che rende l’orizzonte sfocato. Secondo la Commissione, infatti, il deficit per il 2013 dovrebbe sì scendere al 2,9% e rimanere entro il limite imposto dal patto di stabilità, ma per quanto riguarda il 2014, si prevede un deficit pari al 2,5% del PIL, ossia 0,7pt% in più delle previsioni del governo. E per giunta, per queste previsioni la Commissione ha tenuto conto della piena attuazione delle misure di risanamento adottate nel 2011-2012, l’aumento di 1pt% dell’IVA e l’entrata in vigore di nuove imposte o maggiorazioni di imposte sulle transazioni finanziarie e sui servizi pubblici locali.

Non una diminuzione come asserito dal governo, ma «nuove o maggiorate imposte sui servizi pubblici locali», come la Commissione aveva già predetto a marzo 2013. Sembrerebbe che in qualche maniera e dopo tanta denigrazione, i tizi con la bandana verde al collo abbiano finalmente ottenuto la concreta possibilità di veder nascere il “federalismo fiscale” incessantemente lodato. Chi sarà il Nostradamus del nuovo millennio, il governo o la Commissione? Per evitare di trovarsi impreparati, basta affidarsi alla storia recente.



All’inizio dell’anno finanziario 2012 il governo italiano aveva previsto di raggiungere un deficit pari all’1,7% del PIL, ed a settembre, a causa della crescita inferiore alle aspettative, quella previsione è stata rimodulata ed il deficit innalzato al 2,6% del PIL. Chiudendo il bilancio, il governo si è reso conto che sarebbe riuscito a limitare i danni sfiorando il limite consentito dal patto di stabilità, ossia avere un rapporto deficit/PIL al 3%. Pertanto, anche se il governo italiano riuscisse a mantenere il deficit sotto la soglia consentita e far quadrare il bilancio 2013, non bisogna scordarsi che mentre il PIL continua la sua parabola discendente, il debito pubblico ha ormai sfondato quota 133%, anziché il previsto 132,2. Miglia d’anni luce di distanza dall’obiettivo ultimo, ossia un debito entro il 60% del PIL.

Il governo ha avuto 15 anni per prepararsi all’entrata in forza dal patto di stabilità, ma causa il principio “perché fare oggi ciò che si può fare tra 15 anni?”, questo è il risultato. Ma niente timore, almeno per quest’anno, perché la Commissione ritiene che «se applicato correttamente, il decreto-legge del 17 maggio non altererà in misura considerevole le proiezioni relative al deficit 2013». “Non in misura considerevole”, significa che esiste comunque la possibilità che le proiezioni vengano obiettivamente alterate, anche qualora il decreto-legge fosse correttamente applicato. E se il bilancio non dovesse rispettare il parametro, scatterebbe automaticamente la procedura per deficit eccessivo, quella procedura già aperta in Italia nel 2009 ed archiviata pochi mesi fa. Per evitare l’ennesimo déjà vu, il governo italiano è corso ai ripari, se così si può dire.

Dovendo ridurre il deficit in modo continuo e conseguire gli obiettivi di medio termine imposti, il governo ha pensato bene di assumere per almeno 3 anni un giardiniere dalle larghe cesoie, qualcuno che dia una sforbiciata alla spesa pubblica. Tre anni, giusto il tempo necessario, sempre secondo previsioni, per invertire la rotta ed avere nel 2017, non un deficit, ma un surplus. Il prescelto proviene da lontano ed anche se porta un cognome italiano, è stato fortemente voluto per la sua profonda conoscenza del Belpaese e richiesto per la sua spiccata dote di applicare l’etica. Si è da poco dimesso dal suo prestigioso incarico di Direttore, ma non dell’ufficio postale della cittadella di San Pietro Vernotico, ma Direttore del Dipartimento della Finanza Pubblica del rinomato Fondo Monetario Internazionale. Da apprezzare la sua obiettiva capacità, vista la crisi, di mobilità professionale e profonda determinazione a ridimensionare il suo titolo, da Direttore a Commissario giardiniere semplice. Un concreto esempio per tutti. Salvo un briefing per illustrare le linee guida della sua attività, il Commissario semplice non rilascerà interviste, perché sarà impegnato a redigere il piano operativo che dovrà essere presentato in Parlamento entro il 13 novembre. Per chi ancora non conoscesse le sue doti, avrà sì tre anni per conoscerle, ma forse basterebbe sapere che «ha ritenuto opportuno rinunciare alla disponibilità di auto di servizio» e di compiere l’impresa e lo sforzo di andare al lavoro con la sua macchina personale. Ma chissà se tra le riduzioni nella spesa del Commissario semplice ci sarà anche la somma che l’Italia dovrà versare a partire dal prossimo gennaio al suo ex datore di lavoro, il Fondo Monetario, per la quindicesima revisione delle quote, ossia l’ennesima ricapitalizzazione. Farà lo sforzo di usufruire anche in quel momento della sua spiccata dote di applicare l’etica, oppure “riterrà opportuno servirsi di quella di servizio”?

In ogni caso, l’importante è resistere, anche perché dopo una salita arriva sempre una discesa. Almeno, credo che si dica così. Ma ciò di cui siamo tutti certi, è che a tutto c’è un limite, anche se il governo non l’ha ancora inteso. La riforma del lavoro varata a giugno 2012 ha sì introdotto «un sistema più ampio di sussidi di disoccupazione di tipo assicurativo», ma per averlo operativo, si dovrà attendere con pazienza l’anno “2017”, come minimo. Per contrastare la vulnerabilità sociale invece, il governo ha introdotto dal 2013, in via sperimentale e per un anno, «una carta di credito finanziata dallo Stato e associata ad un programma personalizzato di reinserimento sociale». Mi permetto di evidenziare che sarebbe bastato un ebete e non ci voleva la Commissione per farci capire che «pur essendo potenzialmente pertinente, questa misura ha una portata limitata rispetto all’entità della sfida». A parte pagare il falegname di corte per le sedute su fatte a misura per Brunetta e co., chissà che fa il governo con le collette popolari, perché oramai neanche le banche sono più un luogo sicuro dove accantonare i beni. Secondo la Commissione, «il controllo di fatto di alcune banche commerciali da parte di fondazioni bancarie, enti profondamente radicati nel contesto imprenditoriale e politico locale, può dar luogo ad una concentrazione dei poteri di gestione ed a carenze dei controlli interni». A livello locale dice Lei, ma io aggiungerei che questo principio è valido a tutti i livelli e pare sempre più ovvio che "il controllo di fatto di alcuni Stati da parte di organizzazioni internazionali, enti profondamente radicati nel contesto imprenditoriale e politico sovranazionale, può dar luogo ad una concentrazione dei poteri di gestione ed a carenze dei controlli interni”.

Giunti a questo punto della salita, è necessario un “reset” ed una nuova e più coerente ri-pianificazione del Matrix. Una riforma della democrazia in Europa, forse, ma non “Looking Ahead”, ossia là dove scruta Mario Monti. È possibile che abbia semplicemente perso la bussola, confuso l’east con il west e che intenda dirigersi verso la direzione opposta all’agorà.

… “è ora di ribellarsi e ribellarsi ancora, finché gli agnelli diventano leoni …

La prima parte di Troika Land di C. Richmond Nzi:

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