lunedì 24 giugno 2013

La sindrome di Stoccolma europea



“Non riesco a capire perché i paesi dell'euro vogliano spingere gli altri in un sistema che non è sostenibile”. La dichiarazione del ministro delle finanze svedese Borg, al termine dell'Ecofin che nelle intenzioni dei protagonisti doveva ideare un meccanismo condiviso di salvataggio delle banche, non meriterebbe ulteriori commenti. Le divisioni tra i paesi membri appaiono per l'ennesima volta insormontabili: ad un gruppo di paesi guidato dalla Germania che continua ad insistere sulla creazione di una serie di regole rigide ed una supervisione unica a livello europeo, la Francia e molti paesi al di fuori dall'euro zona chiedono maggiore flessibilità caso per caso ed un ruolo di monitoraggio e gestione da parte dei regolatori nazionali.


La situazione attuale del settore creditizio europeo è drammatica. Lo stato patrimoniale totale è di circa 26.7 trilioni di euro, secondo l'ultima rilevazione effettuata nell'aprile di quest'anno. In Irlanda, le 10 banche principali hanno registrato perdite per circa il 10% del totale degli assets. In Grecia, il 24%; la Banca centrale slovena ha stimato in 18.3% le perdite complessive del settore; in Spagna e Portogallo, i governi hanno riconosciuto cali superiori al 10%, ma i numeri reali sono molto superiori. Il quotidiano francese Les Echos la scorsa settimana ha stimato in un trilione di dollari il totale degli assets delle cosiddette bad banks europee, senza includere il Regno Unito, mentre Wolfgang Munchau sulle colonne del Financial Times di oggi - considerando anche i “debiti nascosti” attraverso i diversi stratagemmi che utilizzano le banche - fa salire l'ammontare ad oltre due trilioni e mezzo. In questo quadro drammatico di riferimento, l'unico accordo cui sono giunti i ministri delle finanze europei nel vertice di Bruxelles - stanziare 60 dei 500 miliardi di euro del Meccanismo di stabilità europea (Mes) per il salvataggio degli istituti di credito attraverso una procedura ancora da definire - appare un palliativo inutile.

Se queste sono le premesse alla vigilia dell'ennesimo “fondamentale per il futuro dell'Ue” Consiglio che si apre mercoledì a Bruxelles, la conclusione da trarne, che piaccia o no ai vari “Eurofanatici”, è che i paesi membri hanno dimostrato che non attueranno mai quelle misure necessarie per uscire dalla crisi ed evidenziate da anni dai principali economisti - in particolare una politica fiscale espansiva da parte della Germania e gli altri paesi del Nord, un riequilibrio dal lato salariale che possa ridare competitività alle esportazioni del sud ed un alleggerimento della pressione del debito estero dei paesi maggiormente im difficoltà. Quanti altri fallimenti da parte dei Vertici europei dovremo aspettare per uscire da questa che appare sempre più come una curiosa sindrome di Stoccolma?

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